Alonso Ruizpalacios,
ARAGOSTE A MANHATTAN, 2023
(LA COCINA)
Alonso Ruizpalacios, già noto per il talentuoso Gueros, di grande successo nei circuiti di cinema indipendente, e per Museo, Folle rapina a città del Messico, torna con un'opera ancora più autoriale delle precedenti. Sceglie la strada del bianco e nero e del virtuosismo tecnico, impregnandola di emozioni esplosive e di recitazioni tiratissime, estenuanti per attori e spettatori. Se fosse un quadro sarebbe espressionismo, magari un urlo di Munch.
La cucina che dà il titolo al film è quella di un ristorante di Manhattan. Una cucina infernale, nel senso buono e cattivo del termine. Un crogiuolo di razze, colori della pelle, lingue. Il meltin'pot allo stato puro.
Il film inizia con l'arrivo di una ragazzina messicana, che si candida per un colloquio. L'avrebbe mandata a chiamare, così dice, un cugino che lavora lì come chef. La ragazza percorre un lunghissimo e labirintico corridoio che pare interminabile, immerso nel buio, stretto, soffocante. Capiamo subito che il tema è la claustrofobia, trasmessa così intensamente da essere avvertita nelle viscere dello spettatore. Senso di asfissia. Il colloquio è un interrogatorio della Gestapo, ma alla fine viene accettata. Si reca nella cucina, così finalmente la vediamo: i cuochi sembrano stipati dietro un bancone come se fossero tanti soprammobili, spalla contro spalla, gomito a gomito. La sensazione è quella di una catena di montaggio. Ma l'essere così a stretto contatto rende in qualche modo solidali i lavoratori. Spesso si lanciano tra di loro in danze sfrenate di parolacce e insulti razzisti, ognuno nella sua lingua, e pare che si divertano tantissimo, tutti assieme maschi e femmine, tutti a insultarsi a vicenda e senza sosta. Un'indigestione di parole, urla, risate, volti tesissimi. Ogni cosa assume il sapore di lercio, di promiscuo. Ma regna comunque una sorta di fratellanza implicita, che tocca il cuore. La più evidente sensazione è che si tratti, lì dentro, nell'inferno, di una grande famiglia. Anche se la polveriera è sempre a un passo dall'esplodere.
Tante le sequenze memorabili: quando la cucina si inonda e tutti continuano a lavorare di corsa come se niente fosse. Poi nel vicolo, quando in pausa si confidano, seduti per terra, con le scale antincendio che paiono anch'esse scenografie di gironi infernali. E poi c'è il finale, quel finale, in cui Pedro esplode. Quella scena lì, quel piano sequenza, fatevi un favore di non perderlo, perché è già Storia.
La cucina che dà il titolo al film è quella di un ristorante di Manhattan. Una cucina infernale, nel senso buono e cattivo del termine. Un crogiuolo di razze, colori della pelle, lingue. Il meltin'pot allo stato puro.
Il film inizia con l'arrivo di una ragazzina messicana, che si candida per un colloquio. L'avrebbe mandata a chiamare, così dice, un cugino che lavora lì come chef. La ragazza percorre un lunghissimo e labirintico corridoio che pare interminabile, immerso nel buio, stretto, soffocante. Capiamo subito che il tema è la claustrofobia, trasmessa così intensamente da essere avvertita nelle viscere dello spettatore. Senso di asfissia. Il colloquio è un interrogatorio della Gestapo, ma alla fine viene accettata. Si reca nella cucina, così finalmente la vediamo: i cuochi sembrano stipati dietro un bancone come se fossero tanti soprammobili, spalla contro spalla, gomito a gomito. La sensazione è quella di una catena di montaggio. Ma l'essere così a stretto contatto rende in qualche modo solidali i lavoratori. Spesso si lanciano tra di loro in danze sfrenate di parolacce e insulti razzisti, ognuno nella sua lingua, e pare che si divertano tantissimo, tutti assieme maschi e femmine, tutti a insultarsi a vicenda e senza sosta. Un'indigestione di parole, urla, risate, volti tesissimi. Ogni cosa assume il sapore di lercio, di promiscuo. Ma regna comunque una sorta di fratellanza implicita, che tocca il cuore. La più evidente sensazione è che si tratti, lì dentro, nell'inferno, di una grande famiglia. Anche se la polveriera è sempre a un passo dall'esplodere.
Tante le sequenze memorabili: quando la cucina si inonda e tutti continuano a lavorare di corsa come se niente fosse. Poi nel vicolo, quando in pausa si confidano, seduti per terra, con le scale antincendio che paiono anch'esse scenografie di gironi infernali. E poi c'è il finale, quel finale, in cui Pedro esplode. Quella scena lì, quel piano sequenza, fatevi un favore di non perderlo, perché è già Storia.